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      Ma la profonda e pratica venerazione che i Romani, come tutti i popoli forniti di senso politico, professavano al principio dell'autorità, generò quella memoranda tesi del diritto romano pubblico e privato, che qualsiasi comando del magistrato, ancorchè non fondato sulla legge, dovesse esser valido, almeno finchè il magistrato durava in esercizio della sua carica, quantunque dovesse cessare d'aver vigore quando l'autore di esso fosse uscito d'ufficio.
      È chiaro che sino a che i magistrati furono eletti a vita la differenza fra la legge e il decreto dovesse effettivamente essere quasi nulla, e però l'attività legislativa dell'assemblea comunale non potesse trovare alcuno svolgimento. Viceversa essa ebbe continue occasioni di svolgersi, dacchè le signorie si rinnovavano e si mutavano ogni anno; e non rimase senza pratica importanza il principio che, se una signoria nella decisione di una causa trascorreva a qualche legale nullità, la signoria successiva poteva ordinare che si ripigliasse una nuova istruzione della causa.
      10. Potere civile e militare. È finalmente in questi tempi che la potestà civile cominciò a distinguersi dall'autorità militare. Nella prima impera la legge, nell'altra domina la scure; nell'una avevano vigore le limitazioni statali dell'appello e della regolare distribuzione o delegazione dei poteri, nell'altra un comandante aveva libero ed assoluto imperio come prima il re(5).
      Fu stabilito che tanto il comandante quanto l'esercito non dovessero, per massima, porre giammai, come tali, il piede nella città propriamente detta.


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Storia di Roma
2. Dall'abolizione dei re di Roma sino all'unione dell'Italia
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma
1938 pagine 376

   





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