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      Così si spiega come durante i primi cinquant'anni della repubblica non sia stato mosso un passo che direttamente accennasse alla parificazione politica dei ceti. Ma questa lega dei patrizi con i ricchi plebei non offriva però garanzia di lunga durata.
      Non vi è dubbio che una parte delle più illustri famiglie plebee fosse, fin da principio, associata al partito della rivoluzione, sia per sentimento di equità verso i loro consorti, sia in grazia della naturale consociazione di tutti quelli che si vedevano esclusi dal potere, sia finalmente perchè compresero che a lungo andare era inevitabile fare concessioni alla moltitudine, e che tali concessioni, usate con buon avvedimento, avrebbero avuto per risultato la soppressione dei diritti particolari del patriziato, e avrebbero procacciato all'aristocrazia plebea la preponderanza decisiva nello stato.
      Quando questa persuasione fosse penetrata, come non poteva mancare, in un maggior numero di famiglie, e quando l'aristocrazia plebea si fosse messa alla testa del suo ceto per osteggiare la nobiltà di origine, essa nel tribunato veniva a trovare un mezzo legale per condurre e regolare la guerra civile, e poteva combattere mercè il crescente impoverimento della moltitudine nuove battaglie sociali, per costringere il patriziato ad accettare i patti e per aprirsi l'adito alla magistratura, frapponendosi mediatrice fra i due opposti partiti.
      Questa naturale inclinazione dei partiti si manifestò irresistibile subito dopo la caduta dei decemviri.


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Storia di Roma
2. Dall'abolizione dei re di Roma sino all'unione dell'Italia
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma
1938 pagine 376