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      La tendenza di tali disposizioni era chiara e palese. Esse miravano a strappare dalle mani dei nobili l'esclusivo possesso delle cariche curuli e degli annessi privilegi ereditari, ciò che non si credeva di poter raggiungere in modo soddisfacente che, escludendo, per legge, i nobili dal secondo posto di console; dovevano liberare i membri plebei del senato dalla posizione subordinata nella quale si trovavano come muti ascoltatori, in modo che almeno coloro che avevano rivestita la dignità consolare, acquistassero con ciò il diritto di esporre il loro parere con i consolari patrizi, prima di tutti gli altri senatori patrizi.
      Esse dovevano inoltre togliere alla nobiltà l'esclusivo possesso delle dignità sacerdotali; si lasciò, per buone ragioni, che gli antichi sacerdozi latini degli auguri e dei pontefici rimanessero ai cittadini originari; ma si costrinsero a dividere coi cittadini avventizi il terzo grande collegio appartenente in origine ad un culto straniero.
      Esse dovevano finalmente procurare al popolo minuto la partecipazione dell'usufrutto dei beni comunali; ai debitori alleviamento, ai proletari disoccupati lavoro.
      La soppressione dei privilegi, la riforma sociale, l'eguaglianza politica erano le tre grandi idee che dovevano prender forma colle misure suaccennate. Invano si sforzavano i patrizi di combattere con ogni mezzo, anche estremo, questi progetti di legge: la stessa dittatura, lo stesso vecchio eroe Camillo, riuscirono a ritardare, ma non ad impedire la loro effettuazione.


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Storia di Roma
2. Dall'abolizione dei re di Roma sino all'unione dell'Italia
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma
1938 pagine 376

   





Camillo