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      Ma nella maggioranza dei patrizi la incorreggibile nobiltà non smentì i principii. In forza del privilegio, che i propugnatori della legittimità si sono attribuiti, di ubbidire alle leggi soltanto quando esse coincidono cogli interessi del loro partito, i nobili romani si permisero ancora parecchie volte, con aperta violazione del seguìto componimento, di far eleggere due consoli patrizi; ma quando per rappresaglia di una simile elezione, fattasi l'anno 411 = 343, il popolo, nell'anno successivo, decise formalmente di autorizzare la nomina di due plebei ad entrambe le cariche di console, i patrizi capirono la minaccia contenuta in siffatta decisione, e in seguito, benchè forse l'abbiano desiderato, non hanno osato mai più tentare d'invadere il secondo posto di console. In egual modo la nobiltà si ferì colle proprie mani tentando, in occasione delle leggi sestio-licinie, di conservare con meschine tergiversazioni qualche briciola degli antichi privilegi.
      Col pretesto che la sola nobiltà conosceva la giurisprudenza, allorchè la magistratura suprema si dovette accomunare ai plebei, fu separata dal consolato l'amministrazione della giustizia e le venne delegato un apposito terzo console o pretore, come fu comunemente poi chiamato.
      Per la sorveglianza del mercato e per gli annessi uffici di polizia, come ancora per l'ordinamento della festa della città, furono nominati due edili i quali, dalla loro giurisdizione senatoria, affine di distinguerli dai plebei, furono detti edili curuli (aediles curules).


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Storia di Roma
2. Dall'abolizione dei re di Roma sino all'unione dell'Italia
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma
1938 pagine 376