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      Ma l'edilità cerule divenne tosto accessibile ai plebei in modo che ogni anno si scambiavano gli edili curuli nobili e plebei.
      L'anno 398 = 356 fu inoltre schiusa ai plebei la via alla dittatura, come sino dall'anno prima che comparissero le leggi sestio-licinie (386 = 368) essi ottennero la dignità di mastro di cavalleria, l'anno 403 = 351 la censoria, l'anno 417 = 337 la pretura: anzi di quel tempo (415 = 339) la nobiltà fu legalmente esclusa da uno dei posti di censore, come era accaduto prima rispetto al consolato. Non si dava alcuna importanza alle proteste di un augure patrizio che avesse trovato nell'elezione di un dittatore plebeo (427 = 327) dei vizi segreti, invisibili ad occhi profani, nè si badò più all'opposizione del censore patrizio, il quale fino allora (474 = 280) non aveva permesso al suo collega plebeo di fare il solenne sacrifizio, col quale si chiudeva il censimento. Queste sofisticherie ad altro non servivano se non a provare il malumore dei nobili.
      Finalmente la legge publilia del 415 = 339 e la legge menia, che non comparve prima della metà del quinto secolo, tolsero ai patrizi il diritto di confermare o di rigettare le deliberazioni delle centurie, diritto che senza dubbio avranno di rado osato esercitare, in modo che sarà stata per loro una necessità di approvare anticipatamente ogni deliberazione delle medesime, fossero leggi o elezioni.
      Le famiglie patrizie mantennero, come è facile immaginare, assai più lungamente i loro privilegi religiosi; anzi non fu mai fatta innovazione di sorta in parecchi di quei privilegi che non avevano importanza politica, come, per esempio, il diritto esclusivo di elezione ai tre supremi uffici dei flamini, alla carica di sommo sacerdote, e alla confraternita dei saltatori.


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Storia di Roma
2. Dall'abolizione dei re di Roma sino all'unione dell'Italia
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma
1938 pagine 376