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      E di più si deve considerare che la nuova legislazione non provvedeva nè a correggere i difetti delle preesistenti provvidenze per la esazione della tassa del pascolo e delle decime, provvidenze che la pratica aveva dimostrato insufficienti, e che avrebbero dovuto essere rafforzate con sanzioni penali; nè a disporre una rigorosa ricognizione dei possessi pubblici; nè ad istituire una magistratura che curasse l'esecuzione delle leggi.
      La spartizione delle terre pubbliche, parte fino ad un'equa misura fra i possidenti, e parte tra i proletari plebei, ma in piena proprietà sia per gli uni che per gli altri; l'abolizione del vizioso sistema dell'occupazione e la creazione di un magistrato che procedesse in avvenire all'immediata ripartizione delle terre, le quali in processo di tempo fossero cadute in pubblico dominio, erano provvedimenti tanto chiaramente indicati dalle circostanze, che non si può attribuire a difetto di previdenza, se vennero lasciati in disparte.
      E qui non si può fare a meno di ricordare come l'aristocrazia plebea, cioè appunto una parte di quella classe che in fatto aveva il privilegio di usufrutto dei pubblici possessi, fosse quella, la quale aveva proposto la nuova riforma e come anzi uno degli autori di questa nuova riforma, Gaio Licinio Stolone, si trovasse fra i primi condannati per aver oltrepassato la misura massima di terreno.
      Non si può quindi liberarsi dal dubbio, se i legislatori abbiano operato lealmente o se invece non abbiano, a bello studio, evitato lo scioglimento più equo e più naturale della infausta questione dei beni pubblici.


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Storia di Roma
2. Dall'abolizione dei re di Roma sino all'unione dell'Italia
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma
1938 pagine 376

   





Gaio Licinio Stolone