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      Solo la follia e la somma incoscienza d'un governo popolare possono spiegare questi eccessi vituperosi.
      I trattati, di cui si volle tener conto, erano antichissimi e caduti in disuso; è poi evidente che, per lo meno dopo la fondazione di Hatria e di Sena, essi non avevano più alcuna forza e che perciò i Romani s'erano condotti colle navi nel golfo in piena buona fede e contando sull'alleanza dei Tarentini - anzi era nel loro interesse, come lo prova la piega che presero successivamente le cose, di non dare a Taranto alcun appiglio per una dichiarazione di guerra.
      Se il governo tarentino voleva dichiarare la guerra a Roma, esso non doveva far altro che quello che avrebbe dovuto fare da lungo tempo, e se per rompere la lega preferiva il pretesto della violazione dei trattati anzichè rivelare la vera causa, non si sarebbe potuto biasimare, giacchè la diplomazia ha sempre ritenuto disdicevole chiamare le cose col loro vero nome; che, invece di intimare all'ammiraglio di abbandonare la fonda, si sia aggredita a mano armata la flotta, fu un fatto non meno dissennato che barbaro, una di quelle terribili barbarie della civiltà, in cui cessa improvvisamente ogni controllo del morale e ci si rivela nuda l'atroce bassezza, quasi per ammonirci contro la puerile credenza che la civiltà valga a sradicare dalla natura umana l'elemento bestiale.
      E, quasi che queste atrocità non fossero bastate, i Tarentini attaccarono, dopo quest'atto eroico, la città di Turio, il cui presidio romano, preso alla sprovvista, capitolò (nell'inverno del 472 = 282), e punirono duramente quegli abitanti per essersi dati ai barbari, e per aver disertato il partito degli Elleni, come se quegli stessi Turini non fossero stati molte volte da Taranto abbandonati ai Lucani, per salvarsi dai quali, appunto, erano stati costretti a gettarsi nelle braccia dei Romani.


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Storia di Roma
2. Dall'abolizione dei re di Roma sino all'unione dell'Italia
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma
1938 pagine 376

   





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