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      Questa città, che aveva già conteso con i suoi eserciti e con le sue flotte il possesso dell'isola a Cartagine, a cagione delle discordie intestine e del debole governo, era caduta così in basso che appena poteva sperare di difendersi dietro le sue mura, e però dovette volgersi a cercare soccorsi stranieri che nessuno, fuori di re Pirro, poteva accordarle.
      Pirro era genero d'Agatocle; suo figlio Alessandro, allora diciottenne, era nipote di Agatocle; entrambi per sangue e per grandezza d'animo erano gli eredi naturali dei vasti disegni del signore di Siracusa; e se mai Siracusa non poteva più reggersi a libertà, almeno poteva trovare un compenso col diventare metropoli del grande regno ellenico occidentale.
      I Siracusani si offrirono spontaneamente a Pirro, come due anni innanzi i Tarentini, e alle stesse condizioni (intorno al 475 = 279). Così, per singolare riscontro di cose, pareva che tutto concorresse ad aiutare i vasti disegni del re degli Epiroti, che aveva fondato tutto il suo piano sul possesso di Taranto e di Siracusa.
      Questa unione dei Greci italici e siciliani sotto lo stesso signore ebbe per effetto immediato di far più intima l'unione dei loro avversari.
      I Cartaginesi ed i Romani trasformarono presto i loro antichi trattati di commercio in una lega offensiva e difensiva contro Pirro (475 = 279). Si convenne che, se Pirro avesse messo piede sul territorio di uno dei confederati, l'altro avrebbe mandato pronti soccorsi e pagate le truppe ausiliarie; che Cartagine somministrerebbe le navi di trasporto e assisterebbe i Romani anche colla flotta, senza obbligo però di arrischiare l'equipaggio in funzioni di terra; finalmente i due alleati promisero di non accordarsi con Pirro separatamente.


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Storia di Roma
2. Dall'abolizione dei re di Roma sino all'unione dell'Italia
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma
1938 pagine 376

   





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