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      I valorosi Massalioti durarono bensì padroni del proprio mare, ma non presero una parte diretta negli avvenimenti che mutavano le sorti d'Italia.
      Delle altre città marittime non si faceva quasi alcun conto.
      A questa superiorità di Cartagine non potè sottrarsi nemmeno Roma, che vedeva anch'essa nei suoi mari dominare navi straniere.
      Nei suoi antichissimi primordi Roma era stata certamente una città marinara; nè mai fu così dimentica delle sue tradizioni, nè sì incauta, anche nel colmo della sua fortuna, da trascurare la marineria da guerra e non pensare che alle forze terrestri.
      Nelle selve latine crescevano alberi adattissimi alle costruzioni navali e migliori di quelli tanto celebrati dell'Italia meridionale, e i cantieri di Roma, sempre in gran faccende, bastano a provare come il senato non avesse mai smesso il pensiero di dotare Roma di una flotta. Ma per tutto il tempo che durarono le guerre, che diremmo domestiche ed intestine, per la cacciata dei re, o per le gelosie della federazione latina, i Romani non avevano agio di guardare troppo al mare, e peggio fu durante le guerre infelicemente combattute contro gli Etruschi e i Celti. Volte le cose in meglio, Roma pensò di assicurarsi tutt'intorno il paese italico e quindi non si curò di conservare e di accrescere il proprio naviglio. Fino alla fine del quarto secolo, si trova appena qualche ricordo di navi da guerra romane, come per esempio quello della nave che portò a Delfo il dono votivo, preso tra le spoglie opime dei Veienti (360 = 394).


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Storia di Roma
2. Dall'abolizione dei re di Roma sino all'unione dell'Italia
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma
1938 pagine 376

   





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