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      Nel modo stesso che Catone, per sua confessione, governava la sua famiglia in modo da non permettere che gli schiavi fossero in troppa concordia fra loro, e anzi si studiava di mantener vivi i dissidi e le gare, così faceva anche Roma; il mezzo non era bello, ma era efficace.
      E una più larga e generale applicazione di questo politico accorgimento fu fatta colla ricostituzione di quante erano le comunità vassalle sullo stesso tipo di Roma, in modo che il governo dei municipi rimanesse affidato alle famiglie nobili e ricche, le quali naturalmente vennero a trovarsi in più o meno recisa opposizione con le moltitudini, e che tanto a cagione dei loro interessi economici, quanto della loro situazione politica nel comune, non potevano far altro che appoggiarsi su Roma.
      Ne abbiamo chiarissimo esempio nel modo con cui vennero assestate le cose a Capua, la quale, siccome pareva la sola fra le città italiane che potesse competere con Roma, così fu trattata fin da principio colla più previdente diffidenza.
      Della nobiltà capuana si fece sotto ogni aspetto un corpo privilegiato; tribunali speciali, luoghi distinti per raccogliersi a consulta, e persino larghi assegni sull'erario della comunità; v'erano mille e seicento pensionari, a ciascuno dei quali si dovevano pagare 450 stateri. Furono questi cavalieri campani quelli che, tenendosi fuori dalla grande sollevazione latino-sabellica del 414 = 340, in gran parte ebbero il merito di farla fallire; furono le loro buone spade che decisero nel 459 = 295, la vittoria di Sentino contro i Galli venuti in soccorso della lega italica mentre invece i fanti campani furono i primi nella guerra pirrica a rivoltarsi contro Roma togliendole Reggio.


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Storia di Roma
2. Dall'abolizione dei re di Roma sino all'unione dell'Italia
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma
1938 pagine 376

   





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