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      Se però il diritto criminale romano ci empie di meraviglia per il suo vigoroso spirito civico e i crescenti sforzi verso un concetto più umano della pena, esso ebbe invece molto a soffrire in pratica per le conseguenza perniciose delle lotte di classe, che appunto in quel tempo si agitavano.
      La giurisdizione criminale di prima istanza, comune a tutti gli ufficiali della repubblica, che fu una conseguenza dell'antagonismo delle caste, creando una concorrenza di giudizi, produsse nella procedura corrispondente la deplorevole assenza d'una stabile autorità che istruisse i processi, e praticasse una seria investigazione preliminare.
      E posto che l'ultima istanza criminale innanzi al popolo era, formalmente e costituzionalmente, una procedura di grazia, nè mai, benchè poi fosse diventata obbligatoria, si negò questa sua origine, i giudici pronunciavano le sentenze piuttosto a loro arbitrio che secondo le leggi scritte; e ciò non già per abuso o prevaricazione, ma in certo qual modo conformandosi allo spirito costituzionale: tanto più che s'aggiungeva l'esempio pregiudizievole delle procedure di polizia per condannare a pene pecuniarie, procedure che nella loro forma avevano una grandissima somiglianza colle criminali.
      Così il processo criminale presso i Romani rimase affatto privo di norme direttive e fondamentali, e s'abbassò fino a diventare lo strumento e il tranello dei partiti politici; ciò che tanto meno apparirà giustificabile, in quanto la procedura si formò veramente e si applicò prima di tutto a veri delitti politici, sebbene in seguito venisse sperimentata anche contro delitti comuni, come per gli omicidi e per l'incendio doloso.


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Storia di Roma
2. Dall'abolizione dei re di Roma sino all'unione dell'Italia
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma
1938 pagine 376

   





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