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      Il costume di stare a mensa non seduti su panche come una volta, ma sdraiati sopra lettucci; il differire l'ora del pasto principale da mezzodì a due o tre ore dopo; i mastri bevitori nei banchetti, che per lo più erano tratti a sorte coi dadi tra i convitati e che avevano l'incarico di prescrivere, durante il banchetto, il vino che si doveva bere, come e quando; le canzoni cantate a tavola dagli ospiti l'uno dopo l'altro, che in Roma certo non erano scolii ma canzoni in lode degli antenati - tutte queste usanze non erano originarie di Roma, ma tolte dai Greci già fino dalle prime età, di che ne è prova il fatto che ai tempi di Catone questi costumi erano non solo comuni, ma in parte anche già antiquati e caduti in disuso. Conviene quindi far risalire la loro introduzione al più tardi in quest'epoca.
      Ci dà un altro segno del tempo l'erezione nel foro romano delle due statue, l'una del più sapiente, l'altra del più valoroso tra i Greci, come durante le guerre sannitiche aveva consigliato di fare l'Apollo Pitio, e furono scelti Pitagora ed Alcibiade, il salvatore e l'Annibale degli Elleni occidentali.
      Quanto fosse comune la conoscenza della lingua greca tra l'aristocrazia romana fin dal quinto secolo, ce lo provano le ambasciate spedite dalla repubblica a Taranto, ove l'oratore romano parlò non certamente nel più puro greco, ma in modo da non dover ricorrere all'interprete, e ce lo prova anche l'invio di Cinea a Roma; nè si può mettere in dubbio che, dal quinto secolo in poi, i giovani romani, che si dedicavano agli affari pubblici, non conoscessero tutti la lingua universale e diplomatica di quel tempo.


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Storia di Roma
2. Dall'abolizione dei re di Roma sino all'unione dell'Italia
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma
1938 pagine 376

   





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