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      Benchè in Cartagine la cittadinanza non era costretta, come a Sparta, ad assistere soltanto passivamente alle deliberazioni dei pubblici affari, essa però non vi aveva che una scarsa influenza pratica.
      Nelle elezioni dei geronti non s'aveva il menomo pudore a ricorrere alla corruzione; quanto ai generali, veramente non si nominavano senza interrogare il popolo, che però dava il suo voto solo quando la nomina era già proposta dai geronti; con lo stesso sistema si procedeva per altre questioni; per ciò l'appello al popolo aveva effetto solo quando la gerusia credeva di ammetterlo, o quando non potevano mettersi d'accordo i membri che componevano quell'alta magistratura.
      In Cartagine non si conoscevano i giudizi popolari. Questa esclusione della cittadinanza dall'esercizio del potere era, probabilmente, un effetto della sua organizzazione politica; le società cartaginesi delle mense in comune, che sono paragonate alle fidizie(3) di Sparta, devono essere state corporazioni ordinate oligarchicamente. V'è indizio persino di un'antitesi fra cittadini urbani e lavoratori, ciò che fa supporre, che questi ultimi fossero tenuti in più basso stato, forse senza partecipazione di diritti.
      Se si considerano tutti questi elementi, la costituzione cartaginese apparirà come un governo di capitalisti, cosa naturale in uno stato dove mancava un agiato ceto medio, e dove confluiva una moltitudine di poveri esseri viventi alla giornata, mentre vi fioriva una classe potente di industriali, di uomini politici ragguardevoli, di grossi commercianti e di proprietari di vaste tenute coltivate da schiavi.


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Storia di Roma
3. Dall'unione d'Italia fino alla sottomissione di Cartagine
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma
1938 pagine 371

   





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