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      Cartagine ha fatto lunga esperienza di tutti i pericoli ai quali eserciti, composti di fellah(5) e di mercenari, possono esporre uno stato, e ha potuto accorgersi più d'una volta, che i suoi servi pagati erano più pericolosi dei suoi nemici.
      Il governo cartaginese non poteva ignorare i difetti d'un tale esercito e si studiava senza dubbio di porvi riparo. Curava soprattutto di tener ben provvedute le casse pubbliche e ben guarniti gli arsenali per essere in grado di assoldare armigeri ad ogni bisogno. Grandissima cura poneva inoltre a quegli armamenti che presso gli antichi tenevano luogo delle nostre artiglierie; faceva costruir macchine da guerra, arte nella quale troviamo d'ordinario i Cartaginesi superiori ai Siculi ed educava elefanti, dacchè questi avevano, nella tattica, fatto sopprimere gli antichi carri di guerra. Cartagine nelle sue casematte aveva scuderie per 300 di questi animali. Non osando i Cartaginesi fortificare le città vassalle, doveva lasciare che ogni esercito nemico, il quale potesse approdare in Africa, occupasse non solo il paese aperto, ma anche città e villaggi; precisamente l'opposto di quello che avveniva in Italia, ove la massima parte delle città soggette a Roma avevano conservato le loro mura e dove una rete di fortezze romane si stendeva sull'intera penisola. In compenso i Cartaginesi posero il sommo dell'arte e spesero tesori per fortificare la loro città, e più d'una volta lo stato dovette la sua salvezza alla solidità delle mura di Cartagine, mentre Roma era così difesa dal suo ordinamento politico e dal suo sistema militare, che non ebbe mai a sostenere un vero assedio.


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Storia di Roma
3. Dall'unione d'Italia fino alla sottomissione di Cartagine
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma
1938 pagine 371

   





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