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      Veramente però non mancavano, oltre gli scrupoli d'una politica sentimentale e di lealtà, altre ragioni per sconsigliare dal metter mano negli affari di Messana.
      L'obbiezione che aveva minor peso era la certezza d'una guerra con Cartagine; la quale, per quanto dovesse apparir ponderosa, non doveva certo destare timore ai Romani.
      Ma di più grave momento era per Roma la determinazione di indursi a passare lo stretto, ciò che usciva da quel piano di politica tutta italiana e continentale, che era stata fino allora seguita.
      Roma, arrischiandosi oltre il Faro, rinunciava al sistema col quale gli avi suoi avevano fondata la sua grandezza e ne adottava un altro, di cui nessuno poteva prevedere le conseguenze. Fu uno di quei momenti in cui si prescinde dai propositi abituali, ed in cui la fede nella propria stella e in quella della patria inspira il coraggio di afferrare la mano guidatrice che dall'oscurità dell'avvenire invita, e di seguirla senza saper dove si andrà.
      Lunghi e seri consulti si tennero in senato sulla proposta dei consoli di condurre le legioni in aiuto dei Mamertini: ma non si venne a capo di alcuna decisione.
      Il popolo, a cui fu rimessa la decisione, aveva vivissimo il sentimento della propria grandezza.
      La conquista d'Italia diede ai Romani il coraggio, come la conquista della Grecia lo aveva dato ai Macedoni, come quella della Slesia ai Prussiani, di seguire una nuova via politica; i Mamertini domandavano aiuto invocando quel diritto di protezione che Roma pretendeva di stendere su tutti gli Italici.


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Storia di Roma
3. Dall'unione d'Italia fino alla sottomissione di Cartagine
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma
1938 pagine 371

   





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