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      I confederati italici invece dovettero concorrere largamente somministrando ufficiali di marina, che si saranno presi in prevalenza dalla marina mercantile italica, e marinai, la cui denominazione (socii navales) prova ch'essi, per qualche tempo, vennero forniti esclusivamente dai confederati; più tardi vi si frammischiarono anche schiavi somministrati dallo stato e dalle famiglie più ricche, e successivamente vi si impiegò anche gente della più povera classe dei cittadini. In simili circostanze, e quando si voglia - tenuto conto dello stato, certo imperfettissimo, in cui si trovavano i mestieri marinareschi e l'arte della costruzione navale presso i Romani - dare il giusto valore all'energia spiegata dal governo romano, potrà dirsi che i Romani sciolsero in un anno il problema, la cui mancata soluzione condusse Napoleone alla rovina, quello cioè di trasformare una potenza continentale in una potenza marittima.
      Essi vararono effettivamente la loro flotta, composta di centoventi navi, nella primavera del 494=260. È certo che questo naviglio non pareggiava quello cartaginese nè per numero nè per qualità nautiche, circostanza a cui deve darsi tanto maggior peso in quanto la tattica navale consisteva allora quasi interamente nella manovra.
      I combattimenti navali si facevano a quel tempo anche con gente armata di tutto punto, con arcieri che pugnavano stando sulla tolda, e con macchine da guerra che dalla medesima saettavano; ma la lotta generale e veramente decisiva consistevano nel tentar d'affondare coll'urto le navi nemiche, al quale scopo le prore erano munite di massicci rostri di ferro.


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Storia di Roma
3. Dall'unione d'Italia fino alla sottomissione di Cartagine
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma
1938 pagine 371

   





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