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      Le navi costruite per il servizio dei corsari e gli equipaggi già esperti in quelle rischiose imprese ne componevano il nerbo; si ebbe inoltre cura che le navi riuscissero migliori di quelle fino allora costruite per conto dello stato.
      Questo fatto, che cioè una associazione di cittadini, dopo una guerra disastrosa e che durava già da 23 anni, offrisse spontaneamente allo stato una flotta di 200 navi di linea con un equipaggio di 60.000 marinai, non ha forse riscontri negli annali della storia.
      Il console Caio Lutazio Catulo, cui toccò l'onore di guidare questa flotta nel mare siciliano, non trovò alcuno che gli impedisse il cammino; quelle poche navi cartaginesi, delle quali Amilcare si serviva per corseggiare, scomparvero alla vista della grande flotta, e i Romani occuparono quasi senza incontrare resistenza i porti di Lilibeo e di Trapani, di cui allora si strinse con rinnovata lena il blocco per mare e per terra.
      Cartagine fu sorpresa assolutamente alla sprovvista, e le due fortezze, scarsamente vettovagliate, erano in grave pericolo.
      A Cartagine si stava allestendo una flotta, ma, per quanto si accelerasse, l'anno passò senza che in Sicilia si vedesse giungere una nave cartaginese; quando finalmente, nella primavera del 513=241, le navi che si poterono raggranellare comparvero all'altezza di Trapani, esse sembravano piuttosto un naviglio mercantile che non una flotta da guerra.
      I Fenici avevano sperato di poter approdare tranquillamente, di poter mettere a terra le provvigioni e di rifornirsi delle truppe necessarie per un combattimento navale; ma le navi romane sbarrarono loro la via e li obbligarono allorchè vollero recarsi dall'isola Santa (ora Marittima) a Trapani (10 marzo 513=241), ad accettare battaglia presso la piccola isola di Egusa (Favignana).


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Storia di Roma
3. Dall'unione d'Italia fino alla sottomissione di Cartagine
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma
1938 pagine 371

   





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