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      Finalmente le due parti si accordarono. L'invitto duce d'una nazione vinta scese dai suoi monti lungamente difesi e consegnò ai nuovi signori dell'isola le fortezze possedute dai Fenici senza interruzione per il lungo spazio di oltre quattrocent'anni e le cui mura avevano respinto vittoriosamente tutti gli sforzi degli Elleni.
      L'occidente era in pace. (513=241).
      16. Critica alla tattica dei Romani. Fermiamoci ancora per poco a considerare la guerra che allargò i confini romani oltre la cerchia del mare che bagna la penisola.
      Essa è una delle più lunghe e più difficili che i Romani abbiano sostenuto. I soldati che combatterono la battaglia decisiva, per la massima parte non erano ancor nati quando si cominciarono le prime battaglie.
      Ciò non pertanto, e malgrado gli avvenimenti incomparabilmente grandiosi che la segnalarono, non ve n'è alcun'altra che i Romani abbiano condotto così male e con tanta incertezza, sia nei rispetti militari, sia in quelli politici.
      E non poteva essere altrimenti; poichè questa guerra segna appunto i limiti della politica italica del piede di casa, divenuta oramai insufficiente, e della grande politica, di cui ancora non si erano trovate le linee fondamentali.
      Il senato romano e gli ordinamenti militari dei Romani erano preparati in modo insuperabile per la politica puramente italica.
      Le guerre, fino allora sostenute, erano sempre state guerre continentali, e la base d'operazioni era sempre stata prima la capitale posta nel centro della penisola, e poi la rete delle fortificazioni romane.


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Storia di Roma
3. Dall'unione d'Italia fino alla sottomissione di Cartagine
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma
1938 pagine 371

   





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