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      Ma accanto a questa essenziale uguaglianza giuridica vi era però tra i comuni italici e quelli d'oltremare una differenza notevolissima. I comuni d'oltremare non somministravano alcun contingente fisso all'esercito ed alla flotta dei Romani(13), e perdevano il diritto alle armi in quanto non potevano servirsene che dietro un bando del pretore romano e per la difesa della propria terra natale. Il governo romano mandava esso stesso truppe italiche nelle isole, nella misura che riteneva necessaria, ed in cambio veniva corrisposta ai Romani la decima dei cereali siciliani e un dazio del cinque per cento sul valore di tutti gli articoli commerciali che entravano e uscivano dai porti della Sicilia.
      Questa imposta, del resto, non era una cosa nuova per gl'isolani. Le imposte che la repubblica cartaginese e il re di Persia prelevavano erano all'incirca uguali a quelle decime, ed una simile imposta, secondo il modello orientale, era da tempi immemorabili in uso anche in Grecia nelle città rette da tiranni e in quelle soggette ad egemonie.
      I Siciliani, particolarmente, avevano per lungo tempo pagato la decima a Siracusa o a Cartagine, e da lungo tempo pure non avevano riscosso i dazi portuali per proprio conto. Cicerone dice: «Noi abbiamo accolto i comuni siciliani nella nostra clientela e sotto la nostra protezione in modo che essi conservarono i diritti secondo i quali avevano vissuto fino allora, e rimasero negli stessi rapporti di obbedienza al comune romano, in cui fino allora erano stati coi loro padroni».


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Storia di Roma
3. Dall'unione d'Italia fino alla sottomissione di Cartagine
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma
1938 pagine 371

   





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