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      Questo non fu fatto certamente all'intento d'impedire una invasione in Italia per la via di terra, poichè il generale che l'avesse intrapresa, non poteva essere trattenuto da un trattato, ma per porre un limite alle forze materiali dei Cartaginesi spagnuoli, che cominciavano a divenire pericolose, e per assicurarsi un appoggio sicuro nei liberi comuni posti tra l'Ebro e i Pirenei, che Roma prese così sotto la sua protezione per il caso in cui si rendesse necessario uno sbarco ed una guerra in Spagna.
      Per la imminente guerra con Cartagine, sulla cui inevitabilità il senato non si fece mai illusioni, i Romani non prevedevano dagli avvenimenti in Spagna altro inconveniente che quello di dovervi mandare alcune legioni e di trovarvi il nemico meglio provveduto di denaro e di soldati di quello che lo sarebbe stato senza la Spagna.
      Essendo essi fermamente decisi (come lo prova il piano della campagna del 536=218 e come non poteva essere altrimenti) a cominciare e terminare la prossima guerra in Africa, l'esito di questa avrebbe nello stesso tempo deciso delle sorti della Spagna.
      A procrastinare la dichiarazione di guerra contribuì il desiderio di incassare le contribuzioni di guerra, che in caso di rottura sarebbero state sospese, poscia la morte di Amilcare, per cui tutti ritenevano che con lui sarebbero periti anche i suoi progetti, e finalmente - allorquando negli ultimi anni il senato si accorse che non era prudente indugiare più lungamente a ricominciare la guerra - il desiderio, facile a comprendersi, di farla prima finita con i Galli della valle del Po, poichè essi, minacciati di esterminio, avrebbero certamente approfittato di qualunque guerra importante intrapresa dai Romani per chiamare di nuovo in Italia le popolazioni transalpine e rinnovare le incursioni celtiche sempre molto pericolose.


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Storia di Roma
3. Dall'unione d'Italia fino alla sottomissione di Cartagine
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma
1938 pagine 371

   





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