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      Egli ne accettò l'eredità, ed era in grado di accettarla.
      I suoi contemporanei cercarono di gettare macchie sul suo carattere: i Romani lo dissero crudele, i Cartaginesi avaro; certo è che egli odiava, come sanno odiare gli orientali soltanto, ed un capitano, che dalla sua patria non ricevette mai nè denari, nè provvisioni, doveva ben pensare di procacciarsene. Del resto, se la sua storia fu dettata dall'ira, dall'invidia e dalla bassezza, queste non poterono però offuscare la pura e grandiosa immagine dell'eroe.
      Fatta astrazione delle maligne invenzioni, che cadono da sè, e ciò che fu fatto in suo nome dai suoi luogotenenti, e particolarmente da Annibale Manomaco e da Magone il Sannita, nulla vi è nelle memorie che ci pervennero delle sue gesta che, tenendo conto delle condizioni e del diritto delle genti d'allora, non possa esser giustificato; e tutti poi convengono nel dire che nessuno, come lui, seppe accoppiare il senno con l'entusiasmo, la prudenza con la forza.
      Era tutta sua quella generosa scaltrezza che era uno dei distintivi del suo carattere fenicio; egli amava battere vie strane ed inattese; agguati e strattagemmi d'ogni sorta gli erano famigliari e con cura senza esempio studiava il carattere dei suoi avversari. Per mezzo d'uno spionaggio senza pari - poichè egli aveva delle spie permanenti persino a Roma - si teneva informato dei piani del nemico; e da se stesso, travestito e con parrucche finte, andava spesso ad accertarsi di ciò che gli premeva sapere.
      Del suo genio strategico e dei suoi talenti politici sono piene le pagine della storia di quel tempo.


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Storia di Roma
3. Dall'unione d'Italia fino alla sottomissione di Cartagine
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma
1938 pagine 371

   





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