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      Egli si studiò di spingere i Saguntini a rompere la pace, ma essi si accontentarono di rivolgere le loro lagnanze a Roma. Venuta quindi da Roma una commissione, egli tentò di spingerla alla dichiarazione di guerra coll'insolente suo contegno; ma i commissari intuirono il suo pensiero, tacquero in Spagna per poter portare le loro rimostranze a Cartagine e per riferire a Roma che Annibale era pronto alla lotta e che la guerra era imminente.
      Intanto passava il tempo; già era pervenuta la notizia della morte di Antigono Dosone, mancato repentinamente quasi nello stesso tempo d'Asdrubale; nella parte dell'Italia occupata dai Celti i Romani, con raddoppiata celerità ed energia, spingevano la costruzione delle fortezze, e disponevano ogni cosa per farla finita nella prossima primavera anche colla sollevazione dell'Illiria. Ogni giorno era prezioso; Annibale si decise.
      Egli fece senz'altro sapere a Cartagine che i Saguntini oltraggiavano i Torboleti, sudditi cartaginesi, e che perciò egli aveva deciso di attaccarli; e senza attendere la risposta, nella primavera del 535=219, intraprese l'assedio della città alleata a Roma, il che equivaleva ad una dichiarazione di guerra fatta ai Romani.
      Cosa se ne pensasse, e quale partito si prendesse in Cartagine lo si può immaginare forse ricordando l'impressione prodotta in certi circoli della Germania dalla notizia della capitolazione di York(21). Tutti «gli uomini più ragguardevoli» si andava dicendo «disapprovavano l'attacco fatto senz'ordine ricevuto»; si parlava di non riconoscere l'operato, di imprigionare l'ardito generale.


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Storia di Roma
3. Dall'unione d'Italia fino alla sottomissione di Cartagine
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma
1938 pagine 371

   





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