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      Il solo paese dei Liguri e dei Celti poteva essere per Annibale ciò che la Polonia fu per Napoleone nella sua quasi analoga campagna di Russia.
      Queste popolazioni, che la guerra d'indipendenza appena terminata teneva ancora agitate, estranee d'origine agli italiani e minacciate nella propria esistenza, contro le quali appunto allora si ponevano dai Romani le prime fondamenta d'una rete di fortezze e di strade militari, dovevano riconoscere nell'esercito cartaginese, nelle cui file militavano moltissimi Celti spagnuoli, la loro salvezza e divenire per essi il primo baluardo e la base per gli approvvigionamenti.
      Erano già stati conclusi formali trattati coi Boi e cogli Insubri, in forza dei quali essi si obbligavano a spedire delle guide incontro all'esercito cartaginese, a facilitargli il trasporto dei viveri, a procurargli buona accoglienza presso i loro connazionali, e a sollevare questi contro i Romani appena l'esercito cartaginese avesse messo il piede sul suolo italiano.
      E infine anche lo stato delle relazioni dei Romani coll'Oriente doveva spingere Annibale a questa impresa. La Macedonia, che per la vittoria di Sellasia aveva nuovamente stabilita la sua signoria nel Peloponneso, era in rapporti poco amichevoli con Roma; Demetrio da Faro, il quale aveva mutata l'alleanza romana colla macedone ed era stato scacciato dai Romani, viveva da profugo alla corte di Macedonia, la quale si era rifiutata di consegnarlo. Qualora fosse stato possibile congiungere, in un qualche punto, gli eserciti del Guadalquivir e del Karasu contro il comune nemico, questo si sarebbe potuto fare soltanto sulle rive del Po. Tutto dunque indicava l'Italia settentrionale.


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Storia di Roma
3. Dall'unione d'Italia fino alla sottomissione di Cartagine
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma
1938 pagine 371

   





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