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      I Romani furono separati dagli altri e incatenati come gli schiavi.
      Che Annibale facesse perire tutti i Romani atti alle armi che gli capitavano nelle mani, è senza dubbio una notizia per lo meno molto esagerata. Invece i federati italici furono lasciati liberi senza riscatto, affinchè raccontassero nei loro paesi, che Annibale non faceva la guerra all'Italia ma a Roma, che egli assicurava ad ogni comune italico l'antica indipendenza e gli antichi confini, e che il liberatore seguiva da vicino i liberati come salvatore e vindice.
      Passato che fu l'inverno, egli lasciò la valle padana per aprirsi un varco attraverso le difficili gole dell'Appennino.
      Gaio Flaminio, alla testa dell'esercito d'Etruria, si teneva tuttora presso Arezzo pronto a portarsi a Lucca appena la stagione lo permettesse, per coprire la valle dell'Arno e occupare i passi dell'Appennino.
      Ma Annibale lo prevenne, ed effettuò il passaggio senza gravi difficoltà, tenendosi più che poteva ad occidente, vale a dire più che poteva distante dal nemico; senonchè le terre paludose tra il Serchio e l'Arno erano talmente sommerse per lo scioglimento delle nevi e per le piogge di primavera, che l'esercito dovette marciare quattro giorni nell'acqua non trovando, pel necessario riposo della notte, altro luogo asciutto fuorchè lo spazio che offrivano i mucchi di bagagli e le bestie cadute.
      La truppa soffrì moltissimo, particolarmente la fanteria gallica, che seguiva la cartaginese sulla via resa impraticabile; essa mormorava ad alta voce e sarebbe disertata in massa se la cavalleria cartaginese, comandata da Magone, che formava la retroguardia, non glie lo avesse impedito.


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Storia di Roma
3. Dall'unione d'Italia fino alla sottomissione di Cartagine
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma
1938 pagine 371

   





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