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      I cavalli, tra i quali si manifestò una malattia contagiosa nelle unghie, perivano a torme; altre malattie contagiose decimavano gli uomini; Annibale stesso soffrì di oftalmia in modo da perdere un occhio. Ma la mèta era raggiunta.
      5. Battaglia del Trasimeno. Il generale cartaginese aveva posto il campo presso Fiesole, mentre Gaio Flaminio stava ancora presso Arezzo, aspettando che le strade divenissero praticabili per sbarrarle. Dopo che la linea di difesa dei Romani fu così aggirata, il console, che sarebbe forse stato abbastanza forte per difendere i passi dell'Appennino, ma che certamente non era in grado di misurarsi con Annibale in campo aperto, non poteva far nulla di meglio che attendere l'arrivo del secondo esercito, divenuto ormai inutile presso Rimini.
      Senonchè egli la pensava diversamente. Come capoparte politico, salito ai supremi onori della repubblica grazie agli sforzi fatti per limitare il potere del senato, era esacerbato contro il governo per gli intrighi mossigli dall'aristocrazia durante i suoi consolati e dalla ben giustificata opposizione fatta alle sue faziose intemperanze nel volersi opporre arrogantemente alle usanze e ai costumi antichi. Nello stesso tempo, inebriato dal cieco amore della plebe non meno che da un odio profondo contro il partito dei signori, era convintissimo di essere un genio nell'arte della guerra.
      La sua campagna contro gli Insubri (531=223), che per un giudice imparziale provava soltanto che i buoni soldati riparano sovente agli errori dei cattivi generali, era per lui e per i suoi partigiani una prova indiscutibile che, per farla in breve tempo finita con Annibale, non occorreva altro che porre Gaio Flaminio alla testa dell'esercito.


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Storia di Roma
3. Dall'unione d'Italia fino alla sottomissione di Cartagine
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma
1938 pagine 371

   





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