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      Questa opinione gli aveva procurato il secondo consolato, e queste speranze avevano attirato nel suo campo una tal massa di gente inerme e avida di bottino, da superare in numero, secondo i più seri storici, i legionari.
      Annibale fondò in parte, su questa notizia, il suo piano. Lungi dall'attaccarlo, egli fece sfilare il suo esercito non molto distante da lui, mentre dalla numerosa cavalleria e dai Celti, che erano espertissimi nel saccheggiare, faceva mettere a sacco tutto il circostante paese.
      I lamenti e l'irritazione della moltitudine che doveva lasciarsi spogliare sotto gli occhi di quell'eroe che aveva promesso di arricchirla; le dimostrazioni del nemico, dalle quali traspariva che non lo credeva autorizzato e nemmeno risoluto ad intraprendere qualche cosa contro di lui prima dell'arrivo del suo collega, dovevano spingere un tal uomo a sviluppare il suo genio strategico e a dare una solenne lezione allo sventato e borioso nemico.
      E giammai altro piano è riuscito più compiutamente di questo di Annibale.
      Il console seguì frettolosamente i passi del nemico, il quale lentamente attraversava l'ubertosa valle di Chiana, passando davanti ad Arezzo e recandosi a Perugia. Lo raggiunse nelle vicinanze di Cortona, dove Annibale, informato esattamente della marcia del suo avversario, aveva avuto tutto il tempo di scegliere il campo di battaglia in un paese angusto tra due notevoli alture, la cui uscita era chiusa da un alto colle e aveva all'entrata il lago Trasimeno.
      Egli chiuse l'uscita col fiore della sua fanteria; collocò le truppe leggere e la cavalleria dai lati, al coperto.


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Storia di Roma
3. Dall'unione d'Italia fino alla sottomissione di Cartagine
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma
1938 pagine 371

   





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