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      I Romani, senza sospetto, s'inoltravano in colonne nel passo trovato libero; la densa nebbia mattutina nascondeva loro la posizione del nemico. Appena la testa del loro esercito fu vicina al colle, Annibale diede il segnale della battaglia. La cavalleria, avanzandosi dietro le colline, chiuse l'ingresso del passo, e sui lati, a destra ed a sinistra, le nebbie che svanivano, mostravano da per tutto soldati cartaginesi.
      Non fu questa una battaglia, ma una rotta. Le truppe romane, che non erano ancora entrate nel passo fatale, furono dalla cavalleria rovesciate nel lago; il corpo d'armata principale, quasi senza fare resistenza, venne interamente distrutto nel passo stesso, e la massima parte, compreso lo stesso console, fatti a pezzi durante la marcia. Seimila fanti che formavano la testa della colonna si aprirono un varco attraverso la fanteria nemica, dando cosė una novella prova della irresistibile forza delle legioni; ma, tagliati fuori e senza notizie della sorte toccata al grosso dell'esercito, marciarono alla cieca e furono il giorno seguente circondati da un corpo di cavalleria cartaginese su d'una collina che avevano occupato, e, non avendo Annibale sanzionata la capitolazione che loro prometteva libera la ritirata, furono trattati quali prigionieri di guerra.
      I Romani ebbero 15.000 morti ed altrettanti prigionieri, che č quanto dire l'esercito distrutto. Le lievi perdite dei Cartaginesi, che ascendevano a 1500 uomini, furono subėte anche questa volta specialmente dai Galli(26). E, come se ciō non bastasse, la cavalleria dell'esercito di Rimini - 4000 uomini comandati da Gaio Centennio - che Gneo Servilio mandava intanto in aiuto al suo collega seguendola egli stesso con tutto comodo, fu ugualmente circondata dall'esercito cartaginese e in parte tagliata a pezzi, in parte fatta prigioniera.


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Storia di Roma
3. Dall'unione d'Italia fino alla sottomissione di Cartagine
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma
1938 pagine 371

   





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