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      Il Sannio e la Lucania non erano più quali al tempo in cui Pirro pensava di entrare in Roma alla testa della gioventù sabellica. Non solo la rete delle fortezze romane toglieva a quelle province ogni vigore, ma il dominio romano, che durava da tanti anni, aveva distolto gli abitanti dal miraggio delle armi tanto più che il contingente da essi somministrato agli eserciti romani era assai tenue; il tempo aveva calmato l'antico odio e legato ovunque un numero straordinario d'individui agli interessi del comune dominante.
      Il paese aderì bensì al vincitore dei Romani allorquando la causa di Roma sembrava perduta, ma comprese che non si trattava di acquistare più la libertà, ma di cambiare un padrone italico con un padrone cartaginese, e quindi non l'entusiasmo, ma la pusillanimità gettò i comuni sabellici nelle braccia del vincitore.
      Per queste circostanze la guerra d'Italia non procedeva. Annibale, il quale occupava la parte meridionale della penisola sino al Volturno ed al Gargano, e non potendo abbandonare senz'altro questo paese, come aveva fatto di quello dei Celti, doveva adesso anch'egli sorvegliare un confine che non poteva essere lasciato impunemente scoperto e per difendere i paesi conquistati dalle fortezze che da ogni parte li minacciavano, e dagli eserciti che arrivavano dal settentrione, e nello stesso tempo prendere la difficile offensiva contro l'Italia centrale, non bastavano affatto le forze di cui esso disponeva e che sommavano a 40.000 uomini, non compresi i contingenti italici.


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Storia di Roma
3. Dall'unione d'Italia fino alla sottomissione di Cartagine
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma
1938 pagine 371

   





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