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      Essi esaltarono le masse nel nome della libertà; esageratissime narrazioni di spaventevoli punizioni ch'essi dicevano inflitte dai Romani ai Leontini, che appunto erano stati allora di nuovo soggiogati, fecero nascere il dubbio anche alla parte migliore dei cittadini, che fosse troppo tardi per riallacciare le antiche relazioni con Roma; finalmente i moltissimi disertori romani, la massima parte rematori della flotta, che si trovavano tra i mercenari, furono senza difficoltà persuasi, che la pace dei cittadini con Roma significava la loro condanna a morte. Allora i capi della borghesia furono massacrati, l'armistizio fu rotto e Ippocrate ed Epicide assunsero il governo della città.
      Al console null'altro rimase da fare che porvi l'assedio. Tuttavia la valente direzione della difesa, in cui tanto si segnalò il celeberrimo matematico siracusano Archimede, costrinse i Romani, dopo otto mesi, a convertire l'assedio in un blocco per mare e per terra.
      Nel frattempo, da Cartagine, la quale fino allora aveva aiutato i Siracusani soltanto colla flotta, appena giunta la notizia della loro sollevazione contro Roma, fu inviato un forte esercito alla volta della Sicilia sotto il comando di Imilcone. Questi sbarcò senza incontrare ostacolo di sorta presso Eraclea-Minoa ed occupò immediatamente l'importante città di Agrigento.
      Per unirsi a lui l'ardito e valente Ippocrate usciva con un esercito da Siracusa. La posizione di Marcello, tra il presidio di Siracusa e i due eserciti nemici, cominciava a farsi pericolosa.


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Storia di Roma
3. Dall'unione d'Italia fino alla sottomissione di Cartagine
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma
1938 pagine 371

   





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