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      Non minori difficoltà si incontravano con gli abitanti delle città per farli agire in comune; però ogni singola città opponeva dai suoi ripari tenace resistenza all'oppressore.
      Pare che gli indigeni facessero poca differenza tra Romani e Cartaginesi, e che ai medesimi poco importasse se gli ospiti molesti dimoranti nella valle dell'Ebro o quelli stanziati sulle rive del Guadalquivir possedessero un pezzo più o meno grande della penisola; per cui pochi sono i casi in questa guerra, in cui si riconosca la costanza spagnuola nel pronunciarsi per un partito, se si eccettuino Sagunto, che teneva per i Romani ed Astapa per i Cartaginesi.
      Ma non avendo nè i Romani nè gli Africani condotto seco abbastanza milizie, la guerra divenne per gli uni e per gli altri necessariamente una lotta di propaganda, in cui di rado era decisivo il vero attaccamento ad un partito; piuttosto, d'ordinario, il timore, l'oro ed il caso, e, quando sembrava volgere alla fine, si risolveva in una interminabile guerra di fortezza e in una guerriglia di bande, per divampare poi di nuovo da sotto le ceneri.
      Gli eserciti andavano soggetti alle stesse vicende delle dune sulle spiagge; là dove ieri era un monte, oggi non se ne trova più alcuna traccia. La prevalenza era in generale dalla parte dei Romani, sia perchè essi, sulle prime, si presentavano in Spagna come liberatori del paese dal governo tirannico dei Cartaginesi, sia per la felice scelta dei loro capitani e per la maggior efficienza delle loro truppe, già sperimentate.


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Storia di Roma
3. Dall'unione d'Italia fino alla sottomissione di Cartagine
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma
1938 pagine 371

   





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