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      Morto così Publio, Gneo, indietreggiando lentamente e a mala pena difendendosi contro uno degli eserciti cartaginesi, fu repentinamente attaccato da tre eserciti ed ebbe tagliata ogni ritirata dalla cavalleria numida.
      Spinto verso una collina scoperta, che non offriva nemmeno la possibilità di accampare, tutta la divisione da lui comandata fu tagliata a pezzi o fatta prigioniera: di Gneo non si ebbe alcuna sicura notizia. Un valoroso ufficiale della scuola di Gneo, Gaio Marcio, salvò solo una piccola divisione conducendola sull'opposta sponda dell'Ebro, ove il legato Tito Fonteio riuscì a condurre a salvamento la parte dell'esercito di Publio che era rimasta nel campo; e colà potè rifugiarsi persino la massima parte dei presidii romani disseminati nella Spagna meridionale.
      I Cartaginesi signoreggiarono allora tranquilli tutta la Spagna sino all'Ebro e non sembrava lontano il momento in cui, varcato che avessero quel fiume, sarebbe ridivenuto libero il passo dei Pirenei e sarebbero riannodate le relazioni con l'Italia.
      La necessità mise allora alla testa dell'esercito romano l'uomo adatto. Lasciati da una parte i più vecchi ed inetti ufficiali, l'esercito elesse a suo duce Gaio Marcio. La sua abilità e, forse, non meno di essa, l'invidia e la discordia sorte fra i comandanti cartaginesi, strapparono a questi gli ulteriori frutti dell'importante vittoria. I Cartaginesi che avevano passato il fiume, furono respinti sull'altra sponda, e la linea dell'Ebro venne mantenuta fintanto che Roma potè inviare in Spagna un nuovo esercito ed un nuovo duce.


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Storia di Roma
3. Dall'unione d'Italia fino alla sottomissione di Cartagine
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma
1938 pagine 371

   





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