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      Tenendosi al di sopra del popolo e lontano in pari tempo da esso, egli era uomo di fede indiscussa e d'intenti nobilissimi, che avrebbe creduto di avvilirsi accettando il titolo comune di re, mentre non poteva comprendere come la costituzione della repubblica potesse vincolare anche lui. Egli era cosė persuaso della propria grandezza, che non conosceva nč invidia nč odio, rendeva volentieri giustizia al merito e perdonava compassionevolmente gli errori altrui.
      Valoroso ufficiale e fine diplomatico, senza un'impronta singolare che gli allontanasse gli animi, sapeva associare la coltura ellenica al pių profondo sentimento nazionale romano, era un bel parlatore e seducente nei modi.
      Publio Scipione seppe guadagnarsi il cuore dei soldati e delle donne, quello dei suoi compatriotti e degli Spagnuoli, dei suoi rivali in senato e del suo maggior avversario cartaginese. Non tardō molto che il suo nome fu su tutte le labbra, ed egli fu l'astro che sembrava destinato ad essere l'apportatore della vittoria e della pace al suo paese.
      12. Presa di Cartagena. Publio Scipione partė per la Spagna (544-5=210-209) alla testa d'una fortissima legione e con una cassa ben provvista di denaro, accompagnato dal propretore Marco Silvano, destinato a rimpiazzare Nerone e ad assistere coi suoi consigli il giovane capitano, e dall'ammiraglio ed amico Gaio Lelio.
      La sua comparsa in Spagna fu contrassegnata da uno dei pių arditi e al tempo stesso dei pių venturosi colpi di mano che la storia abbia registrato.


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Storia di Roma
3. Dall'unione d'Italia fino alla sottomissione di Cartagine
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma
1938 pagine 371

   





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