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      Scipione potè persino fare una visita a Siface sulla costa africana e intavolare trattative con lui e con lo stesso Massinissa per il caso d'una spedizione in Africa; colpo di mano veramente temerario, non giustificato dall'importanza dello scopo, per quanto la notizia di esso possa aver soddisfatto i curiosi cittadini della capitale. La sola Cadice, dove comandava Magone, teneva ancora per i Cartaginesi.
      Vi fu un momento in cui sembrò che, ottenutasi dai Romani l'eredità cartaginese e perdutasi per opera loro la speranza degli Spagnuoli di liberarsi anche degli ospiti romani dopo la caduta del governo cartaginese, e di ricuperare l'antica libertà, dovesse scoppiare, con a capo gli stessi alleati di Roma, un'insurrezione generale contro i nuovi signori. Una malattia del comandante romano e l'ammutinamento d'uno dei suoi corpi d'armata per il soldo arretrato già da parecchi anni, favorivano l'insurrezione. Ma Scipione si ristabilì in salute più presto di quello che non si credesse, e calmò con destrezza l'ammutinamento dei soldati; in conseguenza di che anche quei comuni, che subito si erano pronunziati per l'insurrezione nazionale, furono domati prima che questa si estendesse maggiormente.
      Essendo andato a male anche questo tentativo, e Cadice non potendo ormai reggere più a lungo, il governo cartaginese impose a Magone di utilizzare tutte le forze che avesse potuto raccogliere in navi, soldati e denaro, per imprimere possibilmente un'altra direzione alla guerra d'Italia.
      Scipione non lo potè impedire avendo egli sciolta la propria flotta, e dovette per la seconda volta lasciare ai suoi numi la difesa della patria a lui affidata contro nuove invasioni.


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Storia di Roma
3. Dall'unione d'Italia fino alla sottomissione di Cartagine
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma
1938 pagine 371

   





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