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      Vent'anni dopo finita la guerra annibalica, il piccolo comune celtibero di Complega (posto in vicinanza alle sorgenti del Tago) mandò un messaggero al generale romano invitandolo a fargli pervenire un cavallo, un mantello ed un brando per ogni individuo rimasto morto, diversamente gliene sarebbe derivato male.
      Fieri del loro onore militare in modo che sovente non sapevano sopravvivere all'onta di venir disarmati, gli Spagnuoli erano pure pronti a seguire ogni arruolatore ed a porre a repentaglio la loro vita per qualunque estraneo litigio.
      È significante l'ambasciata spedita da un generale romano bene informato dei costumi del paese ad una truppa assoldata dai Turdetani combattente contro i Romani: o di ritornarsene a casa, o di entrare a servizio dei Romani con doppio soldo, o di fissare il giorno ed il luogo per la battaglia. Quando non si presentava nessun ufficiale ingaggiatore, si organizzavano in drappelli di volontari per saccheggiare i luoghi tranquilli e perfino per prendere ed occupare le città, proprio come si praticava nella Campania.
      Quanto fosse selvaggio e malsicuro il paese interno lo prova il fatto che la deportazione nel paese posto ad occidente di Cartagena era considerato presso i Romani come una grave pena, e che in tempi anche di lieve agitazione i comandanti romani di quelle regioni spagnuole si facevano scortare sino da 6000 uomini.
      Ancora più evidentemente lo prova il commercio singolare che i Greci esercitavano coi loro vicini Spagnuoli nella città greco-ispana d'Emporia, che sorgeva sulla punta orientale dei Pirenei.


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Storia di Roma
3. Dall'unione d'Italia fino alla sottomissione di Cartagine
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma
1938 pagine 371

   





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