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      Pieno di talento e di spirito, egli guadagnava i cuori di coloro che voleva affezionarsi dando la preferenza ai più chiari e colti ingegni, come ad esempio Flaminino e Scipione; era un piacevole e buon compagno nel bere e pericoloso alle donne non solo per il suo rango.
      Ma egli era al tempo stesso dotato d'un carattere dei più presuntuosi e de' più insolenti che abbiano prodotto quei tempi svergognati. Egli soleva dire che temeva soltanto gli dei; senonchè sembrava quasi che questi dei fossero gli stessi ai quali il suo ammiraglio Dicearco offriva regolari sagrifici, vale a dire: l'empietà (Asebeia) e il delitto (Paranomia).
      Non gli era sacra la vita nè dei suoi consiglieri, nè dei sostenitori dei suoi disegni; nè disdegnava di sfogare l'ira sua contro gli Ateniesi e contro Attalo colla distruzione di venerandi monumenti e di famose opere d'arte.
      Si dice ch'egli citasse come massima politica, che «colui, il quale fa ammazzare il padre, debba fare ammazzare anche i figli».
      Può darsi che la crudeltà non fosse in lui veramente una voluttà, ma non teneva in nessun conto la vita e le sofferenze altrui, e l'inclinazione a mutar consiglio, che sola rende sopportabile l'uomo, non trovava posto nell'inflessibile suo cuore.
      Egli proclamò con tanta fierezza e fermezza la massima, che un re assoluto non è vincolato da nessuna promessa e da nessuna legge morale, che essa appunto fece sorgere i più seri impedimenti all'effettuazione dei suoi piani.
      Nessuno può negare ch'egli possedesse avvedutezza e risolutezza, ma vi si associavano in modo singolare la lentezza e la trascuratezza; cosa che potrebbe forse trovare una spiegazione nella circostanza d'essere egli stato proclamato monarca assoluto sino dal suo diciottesimo anno, ed in quella che, in grazia dello sfrenato suo furore contro chiunque lo turbasse nella sua autocrazia, sia colla contraddizione, sia colla dissuasione, tutte le persone oneste si allontanavano da lui.


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Storia di Roma
3. Dall'unione d'Italia fino alla sottomissione di Cartagine
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma
1938 pagine 371

   





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