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      Nel frattempo, però, si offriva da altra parte, ai Romani, la desiderata occasione per una dichiarazione di guerra.
      Nella loro sciocca e crudele vanità, gli Ateniesi avevano fatto morire due disgraziati Acarnani che per caso si erano intromessi nei loro misteri.
      Allorchè gli Acarnani, naturalmente indignati, chiesero a Filippo che procurasse loro soddisfazione, questi non si potè rifiutare di dar seguito alla giusta domanda dei suoi più fedeli alleati, e permise loro di levar gente nella Macedonia e con quella e con la propria d'irrompere nell'Attica senza far precedere una formale dichiarazione di guerra.
      Questa, a dir vero, non era realmente una guerra, ed oltre a ciò il comandante della schiera macedone, Nicanore, fece battere in ritirata le sue truppe (fine del 553=201) appena udì le minacciose parole degli ambasciatori romani, che si trovavano appunto in Atene. Ma era troppo tardi.
      Un'ambasciata ateniese partì alla volta di Roma per dare ragguagli sull'aggressione fatta da Filippo contro un antico alleato di Roma, e dal modo come il senato l'accolse, Filippo capì quel che stava per sopraggiungergli.
      Perciò egli nella primavera del 554=200 commise subito a Filocle, suo comandante supremo nella Grecia, di devastare il territorio attico e ridurre Atene possibilmente agli estremi.
      13. Dichiarazione di guerra dei Romani. Il senato aveva ora quanto gli occorreva ed era in grado di proporre nell'estate del 554=200 all'assemblea del popolo la dichiarazione di guerra da farsi «per aggressione di uno stato alleato di Roma».


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Storia di Roma
3. Dall'unione d'Italia fino alla sottomissione di Cartagine
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma
1938 pagine 371

   





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