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      Senza dubbio, se egli avesse provveduto alla difesa di Lisimachia fino alla prossima fine dell'estate, e avesse fatto avanzare il numeroso suo esercito fino all'Ellesponto, Scipione sarebbe stato costretto a porre i suoi quartieri d'inverno sulla costa europea, in una posizione che non offriva nessuna sicurezza sia dal punto di vista militare sia da quello politico.
      Mentre i Romani, dopo effettuato lo sbarco, facevano sosta per alcuni giorni sulla riva asiatica per ristorarsi e per attendervi il loro duce, trattenuto da doveri religiosi, arrivarono nel loro campo ambasciatori del gran re per trattare la pace.
      Il re si dichiarava pronto ad assumere a suo carico la metà delle spese di guerra e a cedere i suoi possedimenti in Europa e tutte le città greche dell'Asia minore, che erano passate dalla parte di Roma; ma Scipione pretendeva che stessero a carico tutte le spese della guerra e che rinunziasse a tutta l'Asia minore. Egli dichiarò che le condizioni del re sarebbero state accettabili quando l'esercito stava ancora sotto le mura di Lisimachia o soltanto sulla riva europea dell'Ellesponto; ma ora, che non solo il cavallo ma anche il cavaliere, sentivano il freno, esse non erano più sufficienti.
      I tentativi fatti dal gran re, seguendo il costume degli orientali, di comperare la pace col denaro - egli offriva la metà delle sue entrate annue - andarono falliti, come era da prevedersi. Avendogli il gran re restituito gratuitamente il figlio fatto prigioniero(6), il fiero cittadino gli diede, in compenso, l'amichevole consiglio di fare la pace a qualunque costo.


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Storia di Roma
4. Dalla sottomissione di Cartagine a quella della Grecia
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma
1938 pagine 343

   





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