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      E le cose andarono tant'oltre che, alla fine, il senato perdette la pazienza e dichiarò ai Peloponnesiaci che non si darebbe più alcun pensiero di loro e che potevano fare ciò che volevano (572=182).
      Ciò era naturale, ma non era giusto; nella posizione in cui si trovavano i Romani, essi erano moralmente e politicamente obbligati a ristabilire colà, seriamente, le cose ad una tollerabile condizione.
      Quel Callicrate acheo, il quale l'anno 575=179 si presentò al senato per informarlo sulle condizioni del Peloponneso e per chiedere un efficace e durevole intervento, sarà stato un uomo di minore abilità del suo compatriota Filopemene, fondatore principale di quella politica patriottica; ma egli aveva ragione.
      17. Morte di Annibale e di Scipione. Il protettorato del comune romano si estendeva allora su tutti gli stati, dall'estremo oriente all'estremo occidente del Mediterraneo; e non ve n'era alcuno che i Romani potessero considerare atto ad ispirar loro timore.
      Ma viveva però ancor sempre un uomo, a cui Roma concedeva questo onore singolare; era questi il profugo cartaginese, il quale aveva armato contro Roma prima tutto l'occidente, poi l'oriente, ed aveva, forse, fallito in occidente per la vergognosa politica aristocratica, in oriente per la stupida politica cortigianesca.
      Antioco aveva dovuto obbligarsi nel trattato di pace a consegnare Annibale; ma questi era fuggito prima a Creta, poi in Bitinia(10), dove viveva alla corte del re Prusia, intento ad aiutarlo nella guerra che esso sosteneva contro Eumene e vincendo, come sempre, e per mare e per terra.


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Storia di Roma
4. Dalla sottomissione di Cartagine a quella della Grecia
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma
1938 pagine 343

   





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