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      Un secondo organo della nobiltà, di minore, ma pure di qualche importanza, divenne l'istituzione dei cavalieri. Non avendo la nuova nobiltà ereditaria il potere di arrogarsi l'esclusivo predominio nei comizi, essa doveva in sommo grado desiderare di ottenere almeno una posizione distinta nella rappresentanza interna del comune.
      Nell'assemblea per tribù si difettava di ogni mezzo per maneggiare quest'affare; le centurie dei cavalieri, secondo l'ordinamento di Servio, sembravano quasi istituite a tale scopo. Dei milleottocento cavalli che somministrava il comune, seicento erano assegnati all'antica nobiltà, gli altri ai più ricchi plebei(21), e la scelta della cavalleria cittadina era nelle mani dei censori. È ben vero che a questi incombeva l'obbligo di eleggere i cavalieri unicamente per meriti militari, e di costringere nelle rassegne tutti i cavalieri inabili al servizio, sia per l'età, sia per qualunque altra causa, a consegnare il cavallo erariale; ma non era facile impedire che essi facessero più caso della nascita che dell'idoneità, e lasciassero alle persone ragguardevoli assunte in servizio, e particolarmente ai senatori, il loro cavallo anche oltre il tempo stabilito. Così divenne di regola che i senatori votassero nelle diciotto centurie dei cavalieri, e che i posti, che si rendevano vacanti nelle medesime, venissero conferiti di preferenza ai giovani delle famiglie nobili. Il sistema militare, come era ben naturale, se ne risentiva, non tanto per la effettiva inettitudine al servizio di una non piccola parte della cavalleria legionaria, quanto per l'avvenuta soppressione dell'eguaglianza militare, mentre la gioventù del ceto nobile sempre più si toglieva dal servizio della fanteria ed entrava in quello della cavalleria legionaria, formata ormai esclusivamente di nobili.


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Storia di Roma
4. Dalla sottomissione di Cartagine a quella della Grecia
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma
1938 pagine 343

   





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