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      Così furono appaltate con profitto le miniere dello stato, e particolarmente quelle ragguardevoli della Spagna.
      Alle rendite si aggiunsero finalmente i prodotti dei tributi dei sudditi d'oltremare. Durante quest'epoca somme ragguardevolissime, provenienti da fonti straordinarie, arricchirono il pubblico tesoro; dal bottino della guerra con Antioco 200 milioni di sesterzi (circa L. 53.625.000) e da quello della guerra con Perseo (210 milioni di sesterzi (circa L. 56.250.000); quest'ultimo fu il massimo versamento contante fatto in una sola volta nel tesoro romano.
      Ma questo aumento delle entrate era in gran parte frustrato dall'aumento delle spese.
      Le province, eccettuatane forse la Sicilia, assorbivano quasi quello che rendevano; le spese per la costruzione delle strade e per altre costruzioni aumentavano in proporzione dell'estensione del territorio, e la restituzione dei prestiti (tributa) dei cittadini durante i difficili tempi di guerra, ancora molti anni dopo l'accensione, gravava sopra l'erario romano.
      A queste spese si debbono aggiungere le notevoli perdite cagionate alla repubblica dalla cattiva amministrazione, dalla negligenza, o peggio, dei supremi magistrati.
      Noi ci riserbiamo di parlare più avanti della condotta degl'impiegati delle province, dello sperpero delle entrate del comune, delle frodi particolarmente nel bottino, dell'incipiente sistema di concussione e di corruzione.
      Come il governo si trovasse per gli appalti dei suoi dazi e pei contratti di forniture e costruzioni in generale, lo si può dedurre dal fatto che il senato decise nell'anno 587=167 di rinunciare all'esercizio delle miniere della Macedonia, venute in potere della repubblica, perchè gli appaltatori avrebbero spogliato i sudditi o derubato l'erario: confessione ingenua d'impotenza che l'autorità censoria faceva a se stessa.


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Storia di Roma
4. Dalla sottomissione di Cartagine a quella della Grecia
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma
1938 pagine 343

   





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