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      Per i lavori normali il numero degli schiavi addetti al podere era sufficiente; in caso di bisogno i vicini, come era ben naturale, si aiutavano reciprocamente prestandosi i loro schiavi contro la mercede giornaliera.
      Comunemente non si assumevano lavoratori stranieri, fuorchè nei paesi molto insalubri, dove si trovava vantaggio nel limitare il numero degli schiavi e nel servirsi invece di mercenari per la messe, operazione per la quale, in generale, non bastavano le forze ordinarie.
      Per la mietitura delle biade e pel taglio del fieno si assumevano falciatori a giornate, i quali, spesso, in luogo della mercede ricevevano il sesto e sino il nono covone, o, quando si prestavano alla trebbiatura, il quinto del raccolto; così, per esempio, si recavano ogni anno, in gran numero, lavoratori dell'Umbria nella valle di Rieti per le operazioni della mietitura.
      Il raccolto delle uve e delle ulive si lasciava comunemente ad un imprenditore, il quale colla sua gente - mercenari, liberi o schiavi, propri od altrui - faceva la vendemmia e raccoglieva le olive sotto la sorveglianza di alcune persone dal padrone espressamente designate, ne curava la torchiatura e ne rimetteva il prodotto al proprietario(36).
      Questi, non di rado, vendeva la produzione sulla pianta o sul ramo e lasciava al compratore la cura delle necessarie operazioni.
      4. Spirito di questo sistema. Questo sistema è basato interamente sul poco conto che i Romani facevano dei capitali.
      Il servo ed il bue erano posti allo stesso livello; un buon cane da guardia tenuto alla catena, dice un economista rurale romano, non deve essere troppo benigno verso gli schiavi «suoi compagni».


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Storia di Roma
4. Dalla sottomissione di Cartagine a quella della Grecia
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma
1938 pagine 343

   





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