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      L'industria, invece, non ebbe, in proporzione, un corrispondente sviluppo.
      I mestieri erano senza dubbio indispensabili, e consta anche ch'essi, sino ad un certo grado, si trovavano concentrati in Roma, giacchè Catone consiglia all'agricoltore campano di acquistare a Roma quanto gli possa abbisognare in vestimenta e calzature per uso degli schiavi, e così aratri, botti e serrature.
      Visto il grande consumo di stoffe di lana non si può mettere in dubbio l'estensione che doveva aver preso la fabbricazione dei panni, ed il lucro(41) che ne derivava, ma non appare che si siano fatti tentativi per introdurre in Italia una industria come esisteva in Egitto e nella Siria, o per esercitarla all'estero con capitali italici.
      Si coltivava in Italia anche il lino e si preparava la porpora; ma quest'ultima industria apparteneva essenzialmente alla greca Taranto; e dappertutto, sino da allora, prevaleva il commercio dei lini egiziani e della porpora di Milo o di Tiro su quello della fabbricazione indigena.
      È, in certo modo, qui il luogo di accennare agli affitti ed agli acquisti che si facevano dai capitalisti romani di poderi fuori d'Itala, per esercitarvi su vasta scala la coltivazione del grano e l'allevamento del bestiame. L'inizio di questa speculazione, che coll'andare del tempo si sviluppò particolarmente in Sicilia in proporzioni gigantesche, appartiene, a quanto pare, a questo tempo; tanto più che le restrizioni commerciali imposte ai Siculi, se non furono adottate espressamente per favorire gli speculatori romani, i quali erano esenti da queste restrizioni, dovevano, per lo meno, contribuire al monopolio nell'acquisto dei fondi.


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Storia di Roma
4. Dalla sottomissione di Cartagine a quella della Grecia
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma
1938 pagine 343

   





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