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      Un poeta romano scrisse: «i costumi stranieri sono una miriade di bizzarrie; nessuno è migliore del cittadino romano; stimo meglio un Catone che non cento Socrati».
      13. Costumi nuovi. La storia non vorrà rendere assoluti simili giudizi, ma chiunque voglia studiare attentamente la rivoluzione che il degenerato ellenismo di questo tempo aveva prodotto nel modo di vivere e di pensare dei Romani, si sentirà inclinato ad aggravare anzichè mitigare la condanna dei costumi stranieri.
      I legami di famiglia si andavano rilassando con spaventevole rapidità. Lo sconcio delle donne civette e dei «favoriti» si andava propagando sempre più come un morbo pestilenziale, e, visto lo stato delle cose, non era neppure possibile porvi riparo legalmente.
      L'esorbitante tassa posta da Catone il Censore (570=184) su questa abbominevole specie di schiavi di lusso non fece grande effetto e, dopo un paio d'anni, andò praticamente in disuso insieme colla tassa sui beni in generale.
      I celibi - pei quali, ad esempio, sino dal 520=234 furono mossi molti lamenti - ed i divorzi, andavano naturalmente sempre crescendo.
      In seno alle più nobili famiglie avvenivano orribili delitti e, a questo proposito, diremo che il console Gaio Calpurnio Pisone fu avvelenato da sua moglie e dal suo figliastro, allo scopo di procurare a quest'ultimo, con una elezione supplementare, la suprema magistratura; ciò che gli riuscì (574=180).
      Incominciò poi l'emancipazione delle donne. Seguendo l'antico costume, la donna maritata era per legge sottoposta alla potestà del marito, eguale a quella del padre; la donna nobile era sottoposta alla potestà dei più prossimi agnati maschi, che per poco differiva dalla patria potestà; la moglie non possedeva beni propri, la nubile e la vedova non avevano l'amministrazione dei loro beni.


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Storia di Roma
4. Dalla sottomissione di Cartagine a quella della Grecia
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma
1938 pagine 343

   





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