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      Ma questo compito di trattare con ironia i miti era relativamente innocente e poetico, messo a confronto con quello della commedia comune che dipinge la vita attica del tempo. Partendo dal punto di vista storico-morale non si può far rimprovero alla poesia di quei tempi, nè ad alcuno dei poeti in particolare, se dovettero piegarsi allo spirito della loro età; la commedia non era la causa, ma l'effetto della corruzione che prevaleva nella vita del popolo.
      Ma è necessario, specialmente per giudicare dell'effetto che dovevano produrre queste commedie sui costumi del popolo romano, accennare all'abisso, che, sotto tutte quelle squisitezze ed eleganze, si andava scavando.
      Le sguaiataggini e le oscenità, che veramente Menandro cercava di evitare, di cui però non vi ha difetto presso gli altri poeti, sono la minima parte del male; molto maggiore è lo spaventevole vuoto della vita in cui le sole oasi sono l'amoreggiare e l'ubbriacarsi, la terribile prosaicità per cui, ciò che in qualche maniera somiglia all'entusiasmo, si trova soltanto nei ribaldi, i quali vivono come di una vita continuamente vertiginosa, ed esercitano il mestiere di truffatori con una certa passione.
      Il vizio è punito, la virtù è premiata, e se per accidente vi sono peccatuzzi, ad essi s'indulge e si perdona con una specie di conversione e con un buon matrimonio o dopo il matrimonio. Vi sono delle commedie, come ad esempio Trinummus di Plauto e parecchie di Terenzio, nelle quali è distribuito un pizzico di virtù a tutti i personaggi, persino agli schiavi, tutte abbondano di gente onesta, che si lascia ingannare, di donzelle virtuose per quanto possibile, di amanti ugualmente favoriti e amoreggianti in compagnia; ogni momento sbocciano luoghi comuni morali e ammonizioni in quantità, come le more sui rovi.


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Storia di Roma
4. Dalla sottomissione di Cartagine a quella della Grecia
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma
1938 pagine 343

   





Menandro Trinummus Plauto Terenzio