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      Persino la scelta del soggetto serve a questi scopi: però i letterati ellenici di tutti i tempi, seguendo la tendenza del cosmopolitismo greco, avevano veramente una speciale attitudine a rimaneggiare e trasformare secondo le loro idee la storia romana. Ennio insiste sul tema che i Romani «furono sempre detti Greci e si soleva chiamarli Grai» (Contendunt Graecos, Graios memorare solent eos).
      È facile farsi un giusto concetto del valore poetico dei tanto decantati «Annali» dopo le prudenti osservazioni sullo studio generale della poesia di quei tempi.
      Che mercè l'impulso dato dalla grande epoca delle guerre puniche al sentimento nazionale italico, anche Ennio, ingegno squisitamente impressionabile, si sentisse naturalmente elevato ad alte ispirazioni, e ch'egli non solo riuscisse spesso a riprodurre felicemente la semplicità omerica, ma che ancora più spesso rendesse nei suoi scritti una viva eco della magnanima e dignitosa saldezza del carattere romano, è cosa tanto naturale, quanto naturali sono le imperfezioni della composizione epica, la quale deve essere stata molto libera e capricciosa, se fu possibile al poeta inserire nel suo poema, in forma d'appendice, un intero libro per celebrare un eroe e un patrono, che senza di ciò sarebbe ora affatto sconosciuto.
      Gli «Annali» erano senza dubbio l'opera meno felice di Ennio. L'idea di rifare un'Iliade è già di per se stessa condannabile.
      Ennio fu il primo che con questo suo poema introdusse nella letteratura di quel genere anfibio, di epopea e di storia, che da quel giorno fino ad oggi vi s'incontra ad ogni tratto come uno spettro vagabondo che non può nè vivere nè morire.


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Storia di Roma
4. Dalla sottomissione di Cartagine a quella della Grecia
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma
1938 pagine 343

   





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