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      (19) PLIN., N. h. 21, 3, 6. Il diritto di comparire inghirlandato in pubblico si otteneva segnalandosi in guerra (POLIB., 6, 39, 9. LIV., 10, 47); il fregiarsi arbitrariamente con una corona era considerato come un reato eguale a quello, di cui si sarebbe al giorno d'oggi imputabile colui, che senza autorizzazione, si fregiasse di un ordine militare o cavalleresco.
      (20) Ne rimasero quindi esclusi il tribunale di guerra avente potere consolare, il proconsolato, la questura, il tribunato del popolo e parecchie altre cariche. Quanto alla censura, pare che, ad onta della sedia curule dei censori (LIV., 40, 45, v. 27, 8), essa non fosse considerata carica curule; in appresso, quando soltanto il consolare poteva diventare censore, la questione non ebbe più alcun interesse pratico. L'edilità plebea non si annoverava certamente, almeno nella sua origine, fra le magistrature curuli (LIV., 23, 23); può darsi però che più tardi essa vi fosse inclusa.
      (21) L'ipotesi corrente, secondo la quale le sole sei centurie nobili contassero 1200 cavalli e tutta la cavalleria ne numerasse quindi 3600, non regge. Il metodo di determinare il numero dei cavalieri dal numero dei raddoppiamenti notati negli annalisti è erroneo; non è provata con evidenza nè la prima cifra, che si trova soltanto nel passo di CICERONE, De rep. 2, 20, riconosciuto erroneo dagli stessi propugnatori di questa opinione, nè la seconda, che non si trova assolutamente negli autori antichi. Parla viceversa in favore dell'ipotesi accennata nel testo e più di tutto, la cifra emergente dalle stesse istituzioni, non appoggiata a sole attestazioni; poichè è certo che la centuria conta cento uomini e che in origine furono tre centurie di cavalieri, poi sei e che dopo le riforme di Servio furono portate finalmente al numero di diciotto.


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Storia di Roma
4. Dalla sottomissione di Cartagine a quella della Grecia
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma
1938 pagine 343

   





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