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      Fidente nel non intervento, invece di armarsi e di agire con risolutezza d'accordo cogli insorti dei vicini Stati, si chiuse ogni governo nella cerchia della rispettiva regione, sfogando il proprio ardore in proclami reboanti.
      Naturalmente l'Austria non se ne commosse, come non si lasciò arrestare dalle proteste che contro la minacciata violazione del non intervento fece a Vienna il ministro di Francia, mentre era ancora capo del governo il Laffitte.
      Con 15,000 uomini potè facilmente vincere le deboli resistenze dei liberali a Parma, a Modena e a Bologna.
      Qui il governo liberale, rispettoso fino allo scrupolo del non intervento, non aveva voluto ricevere che disarmati gli uomini che il generale Zucchi, abbandonando Modena, aveva seco condotti.
      Soltanto sotto Rimini vi fu una certa resistenza. Anche là comandava il gen. Zucchi, e con due soli battaglioni - le altre milizie essendosi sbandate alle prime cannonate - combattè tutto il giorno, e soltanto alla notte, dopo avere respinto due volte gli assalti austriaci, ordinò la ritirata.
      L'ultimo atto della disgraziata impresa si svolse ad Ancona, dove i capi del movimento liberale, consegnata la città al governo pontificio, rappresentato dal legato card. Benvenuti, già loro prigioniero, ed avuto da questi i passaporti per l'estero, furono dall'Austria arrestati sulla nave che doveva condurli in salvo, e tradotti prigionieri a Venezia.
      Nel maggio di quel medesimo anno gli ambasciatori di Francia, Inghilterra, Austria, Prussia e Russia consigliavano, in una nota collettiva, la Santa Sede a introdurre nel suo governo alcune delle riforme che la parte colta e moderata del paese reclamava; fra esse l'elezione popolare nella amministrazione comunale e provinciale, una giunta centrale per lo studio di ulteriori riforme, i laici ammessi a tutte le funzioni pubbliche, e un Consiglio di Stato formato coi più notevoli cittadini.


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Le guerre le insurrezioni e la pace nel secolo decimo nono
Volume primo
di Ernesto Teodoro Moneta
Tipografia Popolare Milano
1903 pagine 338

   





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