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      Si tenevano così sicuri che il subbuglio di cui Milano dava spettacolo era frutto di pochi politicanti, che nei circoli del maresciallo si diceva sovente che la prima palla tirata contro le aguglie del Duomo, avrebbe domato qualunque movimento in Milano.
      Nonostante questa ostentata sicurezza, Radetzky chiese ed ottenne da Vienna che gli fossero mandate nuove truppe, le quali portarono l'esercito da lui comandato in Italia da 60,000 uomini a circa 80,000. Colle truppe di rinforzo c'erano molti battaglioni croati, che l'Austria non chiama mai fuori del loro paese che nella imminenza d'una guerra.
      Si viveva dunque da una parte e dall'altra in una specie di vigilia d'armi. Nel popolo lombardo, per servirci delle parole di C. Cattaneo, «ribolliva il sangue di quegli antichi suoi padri, che avevano affrontato i romani e i goti e i due Federici, e spezzato le corazze francesi a Parabiago e le alabarde svizzere alla Bicocca».
      In mezzo a questo fermento d'animi giunse inaspettata e lieta la notizia della rivoluzione di Vienna.
      Era la sera del 17 marzo.
      Il mattino di quel giorno, era partito il Governatore, Conte di Spaur, facendo seguito al vicerè, che, presentendo l'avvicinarsi della burrasca, era andato a rifugiarsi in Verona.
      Rimase rappresentante del governo il Vice-governatore, Conte O'Donnel, il quale aveva a segretario di gabinetto un caldo patriotta italiano (Zendrini). Fu a mezzo di questi che Cesare Correnti ebbe fra i primi notizia della insurrezione di Vienna, e delle concessioni fatte dall'Imperatore, che il Vice-governatore, mentre ne preparava l'annuncio ufficiale, avrebbe voluto tener segrete fino al mattino del domani.


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Le guerre le insurrezioni e la pace nel secolo decimo nono
Volume primo
di Ernesto Teodoro Moneta
Tipografia Popolare Milano
1903 pagine 338

   





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