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      Ottenuti i tre decreti, sebbene estorti colla forza, il Casati e molti con lui dovettero supporre la rivoluzione compiuta, e quanti avevano avuto parte alla facile vittoria, traendo seco loro, come ostaggio, il vice-governatore, lasciarono il palazzo di governo per far ritorno al Municipio, e là provvedere alla nuova situazione politica, cominciando dalla guardia civica.
      I municipali, col loro ostaggio, erano appena in cammino, quando corse voce che una colonna austriaca, con artiglieria, veniva alla volta di via Monforte, per riprendere quella posizione.
      L'insurrezione era rimasta là padrona ben più di un'ora.
      Se ci fosse stato un po' di quella preparazione, a cui s'è accennato, e riunito un centinaio d'armati, si sarebbe potuto dar lì nella sede del governo e nelle adiacenti vie, già barricate, un combattimento alla truppa, e, grazie al panico di cui questa fu vista invasa, si poteva respingerla.
      Invece là di armati non ce n'erano, onde tutti furono lesti ad andarsene, prima che la colonna annunciata arrivasse. Due giovani che non furono in tempo a mettersi in salvo, inseguiti dai soldati fino sui tetti d'una casa vicina, furono colpiti da fucilate e gettati in strada.
      Abitava al secondo piano del palazzo di governo il conte Pachta, consigliere di governo, a cui la voce pubblica attribuiva i più odiosi provvedimenti di polizia. Nell'ora in cui il popolo fu padrone del palazzo, s'era da taluno progettato d'andare a stanarlo e farne sommaria giustizia. Ma bastò che uno dicesse: "Lasciate quel verme; tenete le mani pure" perchè nessuno pensasse più a molestarlo.


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Le guerre le insurrezioni e la pace nel secolo decimo nono
Volume primo
di Ernesto Teodoro Moneta
Tipografia Popolare Milano
1903 pagine 338

   





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