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      Doleva di dover combattere contro poveri soldati, che una legge fatale ci aveva posto di fronte, ed era una festa tutte le volte che uno di essi cadeva nelle mani degli insorti, lieti di non veder più in lui un nemico.
      Fu perciò accolta con premura dal Municipio, in quel giorno trasferito in Casa Taverna in via Bigli, la notizia che molti soldati ungaresi di presidio al Gran Comando erano disposti a passare dalla parte della popolazione, se qualcuno si fosse a loro presentato.
      Non badando ai pericoli, vollero tentare quest'impresa l'Augusto Anfossi e Luigi Torelli.
      Nell'avvicinarsi a quel posto, sventolarono un fazzoletto bianco.
      - Eljen Magiar! (viva l'Ungaria!) gridò loro il Torelli, che ricordava qualche parola ungarese.
      - Eljen, Eljen, risposero molti di quei soldati. Confortato da tale accoglienza, il Torelli si rivolse al maggiore che comandava il battaglione; gli parlò della situazione nuova creata dalla rivoluzione di Vienna, e del desiderio che cessasse ogni resistenza e così risparmiare inutili sacrifici.
      L'ufficiale, che aveva ascoltato quel discorso con molta calma, rispose al Torelli: No, non lo posso; non fate ostilità voi, e non ne faremo noi.
      Torelli insistette, ma il maggiore con accento più risoluto replicò: Non fate nulla a noi, e noi faremo nulla a voi.
      I due messaggeri, visto che nulla potevano ottenere, salutato l'ufficiale e i soldati, ricalcarono i loro passi, facendo indisturbati il viaggio di ritorno.
      Questo piccolo episodio dimostra come con un po' più di preparazione non sarebbe stato impossibile ottenere la neutralità d'una parte della guarnigione austriaca, e dimostra che quando tutto un popolo è unito, ed ha per sè la ragion del diritto, non è difficile ch'esso vinca colla sola forza morale, come Manin e Avesani vinsero il 22 marzo a Venezia senza spargimento di sangue.


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Le guerre le insurrezioni e la pace nel secolo decimo nono
Volume primo
di Ernesto Teodoro Moneta
Tipografia Popolare Milano
1903 pagine 338

   





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